Attualità

Tanti livornesi al centro di accoglienza

I dati dell'anno appena trascorso per il centro Sefa di Livorno fotografano una realtà difficile soprattutto per tanti uomini

E’ stata presentata dall’assessore al sociale Ina Dhimgjini la relazione consuntiva di tutta l’attività svolta dal Centro di Accoglienza SEFA nell’anno appena trascorso. La ricerca, redatta da coop Il Simbolo, Humanitas e la Pubblica Assistenza (gestori del servizio), oltre i numeri, illustra anche le tipologie di disagio sociale delle persone che hanno richiesto ospitalità al centro di prima assistenza, nonché i tempi e modi della loro permanenza.

Su 464 presenze totali, il 77% sono stati uomini, il 23% donne, il 64% italiani e il 36% stranieri. Invece le persone che sono complessivamente entrate in contatto col centro sono state 952, anche qui a grande maggioranza uomini (761 contro 191 donne) e circa al 70% cittadini italiani. I livornesi sono stati il 36% di tutte le presenze italiane, l’1,5% dal resto della Provincia e il 26% dal resto della Regione.

Questi i dati relativi al centro di via Terreni, ma il servizio comprende anche i 2 appartamenti di via del Cedro, “casa uomini” e “casa donne” da 16 posti ciascuno. Il report, con un focus sui primi mesi dell’anno, individua varie tipologie di disagio a cui appartengono gli ospiti delle 2 case. In maggioranza si tratta di casi sanitari (cardiopatie), a seguire abuso di alcol, violenza, ludopatie, tossicodipendenze e psichiatria. Nelle case gli uomini rimangono alloggiati in media per 4 anni, le donne invece 3.

“I due dati significativi – commenta l’assessore al sociale Ina Dhimgjini - che saltano subito agli occhi è che abbiamo potuto soddisfare soltanto un terzo delle richieste pervenute e che i maggiori fruitori del servizio sono uomini italiani, anzi livornesi, di mezza età e che rappresentano il doppio degli stranieri. Sono invece circa un quarto del totale le ospiti donne e tra queste invece sono più numerose le straniere. La forte crisi economica che il nostro territorio sta vivendo ha certamente contribuito al picco di richieste e ci conferma che gli immigrati non sono l’unica categoria a rischio povertà. Ma le strutture di via Terreni e via Del Cedro, oltre ai veri e propri “senza dimora”, accolgono anche alcune persone variamente disagiate che provengono dalle dimissioni ospedaliere protette o dai servizi sociali”.