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Cronaca giovedì 03 novembre 2016 ore 09:18

Bancarotta fraudolenta, in tre nei guai

Indagati due coniugi. La guardia di finanza ha sequestrato merci, attrezzature e un marchio per il valore di 400mila euro



LIVORNO — Bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e societaria. Sono questi i capi d'accusa nei confronti di tre persone residenti a Livorno destinatarie di un'ordinanza di custodia cautelare: una sottoposta agli arresti domiciliari e due destinatarie del divieto di esercitare qualsiasi attività d’impresa (rispettivamente, per un periodo di dodici e sei mesi).

L'indagine è iniziata nel 2015 e ha coinvolto due ditte del settore dell'abbigliamento e delle attrezzature sportive. Queste società sono state dichiarate fallite dal Tribunale di Livorno con sentenze del 2 aprile e 3 dicembre 2014, a fronte di un’esposizione debitoria complessiva per un milione di euro, tra cui debiti tributari pari a circa 300mila euro.

Nel dettaglio, il primo fallimento fa riferimento ad una società, attiva nel capoluogo labronico con tre punti vendita, anche nel centro cittadino, che nel corso dei dieci anni di attività ha cambiato più volte soci e amministratori nel tentativo di schivare responsabilità di natura penale. Motivo per il quale la società ha nominato, come socio e liquidatore, due prestanome, una donna rumena di 35 anni (allo stato irreperibile) e un 60 enne di Viareggio, intestatario ben sette società, che ha ricoperto l'incarico a fronte di un compenso di mille euro.

In questo contesto, l’autorità giudiziaria ha contestato ai tre destinatari dei provvedimenti cautelari, quali soci e consiglieri di amministrazione pro tempore, e a un quarto soggetto, la distrazione di beni merce per un valore di 700mila euro, oltre all’omessa tenuta di parte di libri e registri contabili che hanno reso impossibile (a tutela del ceto creditorio) la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti degli affari.

Il secondo fallimento riguarda, invece, un’ulteriore società, che gestiva un negozio di articoli sportivi ubicato sempre a Livorno, attivo fin dagli anni ottanta, e ha visto il coinvolgimento di una coppia di coniugi già indagati nell’ambito dell’altro fallimento, con il concorso di una terza persona esterna alla cerchia familiare, anch’ella ugualmente indagata.

In questa circostanza, le indagini hanno appurato che, per sfuggire ai creditori e alle connesse implicazioni penali, nel 2012 è stato costituito un soggetto giuridico di diritto maltese che ha continuato la stessa attività commerciale della ditta fallita. La società maltese fa solo formalmente capo ad un prestanome (di origini italiane, iscritto all’Aire) che si avvale sul territorio livornese dell’attività di un procuratore, originario del Kazakistan, prima dipendente della società decotta.

Tuttavia, le indagini hanno appurato come il soggetto livornese, oggi tratto in arresto, abbia rappresentato il vero amministratore di fatto anche della nuova società, di cui aveva collocato fittiziamente la residenza fiscale a Malta, senza presentare in Italia le relative dichiarazioni dei redditi, come invece avrebbe dovuto fare, avendo nel territorio labronico sia il luogo d’esercizio d’impresa che l’effettiva gestione e direzione amministrativa del soggetto giuridico.

In tale contesto, è stata accertata una condotta di distrazione del marchio d’impresa, regolarmente depositato dalla società fallita nel 2005 alll’ufficio Italiano Brevetti e marchi del ministero dello Sviluppo economico. Tale marchio è ora utilizzato (con lo stesso logo ed insegna) dal nuovo soggetto giuridico maltese, acquisito, di fatto, sulla base di una cessione a titolo gratuito, pur a fronte di un valore contabile di circa 240 mila euro, rappresentativo dell’avviamento di un’azienda storica attiva sul mercato da oltre 35 anni.

I due coniugi sono indagati, inoltre, per fattispecie di bancarotta fraudolenta societaria per aver indicato in bilancio, per un periodo di cinque anni (dal 2007 al 2012), una posta attiva fittizia pari ad oltre 300mila euro, ingannando i terzi ed evitando ai soci stessi esborsi finanziari per il ripianamento delle perdite ovvero l’avvio delle procedure di liquidazione della società.

Per evitare la reiterazione del reato e garantire i creditori danneggiati, il Gip, oltre alle tre misure cautelari personali, ha disposto, su richiesta della procura della Repubblica, il sequestro preventivo del marchio, delle quote, dei beni e delle attrezzatture della società attualmente attiva, il cui valore può essere stimato intorno ai 400mila euro.

Il Pm, per consentire la prosecuzione dell’attività commerciale e salvaguardare gli interessi dei lavoratori, provvederà all’immediata nomina di un amministratore giudiziario.

Parallelamente, sotto il profilo fiscale, è stata constatata, per gli anni 2013 e 2014, in capo al soggetto giuridico ritenuto “esterovestito”, l’omessa dichiarazione dei redditi in Italia, con la segnalazione all’Agenzia delle entrate di un’imposta evasa pari a circa 70mila euro.

Contestata, nei confronti di un professionista,  l’omessa segnalazione di operazioni sospette di cui era a conoscenza, per circa 1,7 milioni di euro, all’Unità di informazione finanziaria della banca d’Italia. Illecito che precede una sanzione amministrativa che va dall’1 al 40 per cento del valore delle operazioni non segnalate.


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