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mercoledì 11 dicembre 2024

PAROLE IN VIAGGIO — il Blog di Tito Barbini

Tito Barbini

In primo piano per decenni, nella politica italiana, all’improvviso non ne senti parlare più. Chiedi e nessuno sa darti notizie. Poi scopri che ha fatto una cosa che molti vorrebbero fare, ma sognano soltanto: dare lo stop alla vita di sempre e partire. Tito Barbini, classe 1945, sindaco di Cortona a 24 anni, poi presidente della Provincia di Arezzo, infine per 15 anni assessore regionale prima all’Urbanistica e poi all’Agricoltura, amico personale di Francois Mitterand. Si mette dietro le spalle tutto questo e intraprende un viaggio lungo cento giorni, che lo porta dalla Patagonia all’Alaska. Cento giorni a piedi e in corriera, per bagaglio uno zaino. Da allora attraversa confini remoti e racconta i suoi viaggi e i suoi incontri nei libri. E’ ormai, a tempo pieno, scrittore di viaggi. Più di dieci libri, non solo geografia fisica, paesaggi e luoghi, ma geografia della mente. In Patagonia o nel Tibet, un mondo altro, fatto di dolori, speranze, delusioni. Nel 2016 è uscito il libro "Quell’idea che ci era sembrata così bella - Da Berlinguer a Renzi, il lungo viaggio"

Non ce l'abbiamo fatta e abbiamo perso

di Tito Barbini - martedì 06 marzo 2018 ore 16:24

Sanders e Corbin

Ma il problema, credetemi, non è di qualche punto in più o in meno al PD o a Liberi e Uguali. Il problema vero è la sconfitta della sinistra e dei suoi valori. Chi ha tradito questi valori e si è permesso di dileggiarli si metta finalmente da parte e scelga un dignitoso silenzio. Lui con la sinistra non ha avuto niente a che fare, mai. Noi invece dobbiamo restare in piedi e con lo sguardo rivolto in avanti. 

E' in gioco il nostro futuro e dobbiamo ora rimboccarci di nuovo le maniche. Chiederci cosa è successo, certo, ma senza recriminare o cercare le responsabilità in una stupida quanto inutile rincorsa a dire: "io l'avevo detto".

Abbiamo perso, la sinistra tutta ha perso, in Italia e in Europa. Non siamo stati percepiti come una forza di cambiamento reale. Abbiamo fatto il possibile per essere aperti e inclusivi, ma non abbiamo saputo innervarla da radicalità e passione e farla volare in alto. Perché non abbiamo spiccato il volo? Eppure eravamo nati per questo. Ripartiamo da qui, non arrendiamoci alla vacuità e all'antipolitica dei pifferai magici pentastellati o alla assenza di valori di una nuova destra sempre più portatrice di veleni e tossine razziste e antidemocratiche. Rimbocchiamoci le maniche per dare ai nostri figli e nipoti un partito che risorga dalle macerie della sinistra. 

Per queste macerie ci sono delle responsabilità e le conosciamo bene. Ora una nuova sinistra che non si genuflette dinanzi ai profeti della diseguaglianza, della precarietà del lavoro, della privatizzazione dei beni comuni, del finanziare i lager per migranti in Libia ed esprima una nuova idea dell'accoglienza. 

Rimbocchiamoci le maniche per rendere visibile il progetto di cambiamento, che non venga spezzato dopo questa pesante sconfitta il rapporto tra questa voglia di cambiamento e la costruzione di una nuova sinistra. Il lavoro come valore, la sua precarietà, il suo futuro, il disagio di fette consistenti di popolazioni di fronte alle nuove povertà e alla domanda di salute, la mancanza di prospettive. La sinistra di governo che da sola non basta se non c’è discontinuità, se manca un progetto di cambiamento, se non si apre un’altra fase, se la scala delle priorità non si rovescia.

Con Liberi e Uguali, doveva nascere una grande speranza? Cerchiamo ora di farlo insieme a tutta la sinistra plurale del nostro paese. Politica, con la P maiuscola a cui bisogna dare una nuova dimensione anche etica e culturale. Sulla sua riscoperta non come mito del governo o come orizzonte elettorale, ma come consapevolezza della propria vita, come la più grande passione laica, come costruzione di una nuova soggettività. Come uno sguardo più profondo attraverso il quale leggere le cose e quindi agire. Come fusione con la vita, come storia in atto. 

Ma soprattutto non c’è sinistra che possa permettersi di guardare al futuro senza ricostruire i valori e le ragioni di un nuovo “umanesimo”. Nuove culture dei diritti e dei doveri, nuova idea della cittadinanza. E' questo messaggio che bisogna far passare. Insisto: come hanno fatto Corbin e Sanders prima di noi.

Tito Barbini

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