Netanyahu a processo, caos Israele
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - venerdì 22 novembre 2019 ore 13:59
Benjamin Netanyahu andrà in tribunale per essere processato. La tanto attesa notizia del pronunciamento della magistratura sugli scandali di corruzione è finalmente ufficiale, dopo che lo scorso 2 ottobre si era tenuta l'udienza preliminare. Lui ovviamente non è era presente e non ha partecipato nemmeno ai successivi incontri che sono andati avanti per quasi una settimana. Aveva schierato i suoi battaglieri difensori, una pretora di avvocati, guidati dai principi del foro Ram Caspi e Yossi Ashkenazi.
Una maratona durante la quale i procuratori, Avichai Mendelblit e Shai Nitzan, hanno ascoltato in silenzio le motivazioni della difesa, limitandosi ad annotare. Sette settimane dopo il provvedimento è ufficiale. Netanyahu si è sempre difeso dicendo che si è trattato di un quid pro quo, e poi accusando invece con un cui prodest, invocando che la sua incriminazione non sarebbe stata la conseguenza di atti da lui compiuti ma una presa di posizione verso la sua persona, e la sua politica.
Una macchinazione ordita contro di lui dalla magistratura. Re Netanyahu, vittima e non carnefice, il leitmotiv preferito dal leader del Likud. Il falco della destra e più longevo politico israeliano aveva ribadito la propria innocenza già nel gennaio 2017 alla polizia durante gli interrogatori, trascritti e resi pubblici dai media. Allora difronte alla squadra anti-frode Netanyahu aveva sbattuto le mani sul tavolo, parlando a voce bassa, saltando dall'ebraico all'inglese: “Ragazzi siate seri”; “Avete preso un folle abbaglio”.
Oggi si apre una nuova sfida per l'indomabile politico, quella dell'aula del tribunale. Dalla sua ha il fatto di essere, in quanto primo ministro, ancora “intoccabile” e la speranza di vincere le prossime elezioni varando una legge ad personam per la sua immunità. Contro lo sfilacciarsi dei suoi alleati e con una eventuale lotta interna al Likud, sino ad oggi fedele al suo capo.
Intanto, in Israele per la prima volta nella sua storia i due incaricati dal presidente Rivlin di formare il governo hanno entrambi fallito: ha sprecato la sua occasione l'attuale premier Netanyahu e poi non ha saputo fare meglio il suo avversario Gantz, in bilico sino all’ultimo minuto utile tra cedere alle “lusinghe” del falco della destra o far nascere un governo di minoranza con il sostegno esterno anche di una parte delle forze arabe, ha preferito alla fine non sbilanciarsi e rinunciare.
Dal 17 settembre, giorno del voto, i leader dei due principali partiti, Likud e Kahol Lavan, non sono stati capaci di raggiungere un compromesso che avrebbe dovuto concretizzarsi in un governo di unità nazionale e la rotazione al vertice. Entriamo quindi nel periodo dei 21 giorni, in cui qualsiasi parlamentare, può tentare di raccogliere le fatidiche 61 firme e presentarsi come futuro primo ministro. Se non si trova un nome, ed una maggioranza, c'è lo scioglimento della Knesset e il ritorno alle urne, le terze in meno di dodici mesi. Ma questa volta con il primo ministro a difendersi nelle aule di un tribunale.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi