Nazionali
di Libero Venturi - domenica 04 aprile 2021 ore 07:30
Ma per distrarci, parliamo un po’ di calcio. Il calcio che è la gioia del popolo. Giocano le nazionali. Quella maggiore per le qualificazioni ai mondiali e la under 21 per gli europei. L’Italia allenata da Mancini -che per gli europei si è già qualificata- vince ma non convince, secondo il più classico e stereotipato dei titoli giornalistici. Comunque vince. Almeno per ora. Dice, noi abbiamo a che fare con il Covid, il campionato, le coppe... Come se gli altri fossero immuni e giocassero solo qualche torneo scapoli-ammogliati. E, quanto alle coppe, lasciamo stare. In ogni caso, pandemia permettendo, bisogna attendere gli azzurri a prove più impegnative.
Il calcio, giocarlo è lo sport più divertente del mondo, vederlo quello più palloso. Non sempre, ma spesso. Almeno per me. Di partite guardo qualche volta le coppe, se gioca un’italiana. E le nazionali, compresa la nazionale femminile, già qualificata per europei e mondiali. È l’unica concessione che faccio al nazionalismo che per il resto mi fa schifo. Tra l’altro le partite devo vederle da solo, devo essere confinato e per questo, dispiace dirlo, il distanziamento pandemico aiuta. Perché non sono un bello spettacolo da vedere, tantomeno da sentire. Mi agito, urlo, impreco contro tutti: arbitro e giocatori, per tacer del mister a cui vanno altri improperi. Detto il passaggio alla tivvù, come se i giocatori mi sentissero. Non sbaglierei nessuno dei tiri in porta, non sprecherei nessuna delle occasioni da rete che invece i malcapitati calciatori gettano al vento, sopra la traversa. «Basso il corpo sulla palla nel tiro in porta, non steso all’indietro! Cosa sei, un difensore?» È la mia invettiva preferita nonché la più ricorrente, convinto come sono che ci manchino attaccanti, “punteri” di ruolo, che sappiano calciare bene “la pelota” e convinto vieppiù che tutti i “falsi nueve” hanno scassato la minchia. Perché il calcio è la sofferenza del popolo. Dice, ma non era la gioia? Contraddizioni in seno al popolo.
Si avverte, credo, in questa prosa garbata un certo dispregio per i difensori e anche per i centrocampisti, sovrastimati autori dell’eterno passaggio preferibilmente all’indietro o per vie orizzontali. E tutto questo perché, in una lontanissima gioventù o supposta tale, sono stato attaccante. Capirai! Ho giocato nel Bar, negli amatori e in terza categoria. E qualche partita di seconda. Ve lo immaginate voi che giocatore?! Però quando uno ha giocato si sente autorizzato ad eludere il saggio e prudente pensiero socratico: “so di non sapere” e, al contrario, presuntuosamente, “pensa di sapere”. Del resto tanti ex giocatori fanno gli allenatori -Rivera è stato uno tra i pochi che no, ma ora vorrebbe recuperare in vecchiaia- e quindi perché io non posso immedesimarmi nella parte del critico militante, seguace del “Calcio come scienza esatta”? Un libro che un amico del Bar, da tempo scomparso, meditava di scrivere, senza mai averlo scritto, rimasto per sempre nella biblioteca immaginaria dei libri mancati o perduti.
Ma veniamo agli azzurrini allenati da Paolo Nicolato. Bravo allenatore, quanto ai risultati. Peraltro non ex giocatore professionista, chissà che non sia un merito. Quarti di finale europei raggiunti, grazie al 4 a 0 rifilato alla Slovenia, pur con una rosa, la nostra, ridotta da squalifiche ed espulsioni. Però c’è un problema, secondo me. Non è possibile che la giovane promessa Tonali, per dirne uno a caso, si esibisca in un fallo gratuito, affibbiando platealmente un pestone sulla gamba a un giocatore, a terra, della squadra avversaria, la Repubblica Ceca, peraltro sotto gli occhi di arbitro e guardialinee, facendosi espellere. A parte la cattiveria antisportiva del gesto, non c’era oltretutto alcun pericolo per noi. Così come non si capiscono i falli fatti dai nostri giocatori ad avversari, magari a centro campo e con le spalle rivolte alla nostra porta. Una situazione innocua o controllabile -con i cechi vincevamo 1 a 0 mancando poco alla fine- a causa di una punizione per un fallo inutile, si è trasformata in un cross nella nostra area. E, grazie a questa genialata, abbiamo beccato il gol del pareggio: peraltro una splendida autorete di testa dell’azzurro Maggiore, che nemmeno a farlo apposta! In quella partita due dei nostri si sono fatti espellere e siamo rimasti in nove! E non è stata una volta sola: i nostri giocatori l’hanno di vizio di sbracciare, spingere da dietro e non fare grande selezione nel colpire piede o palla. Così veniamo spesso e volentieri falcidiati dai cartellini gialli e rossi.
I commentatori parlano di esuberanza giovanile, di eccessiva severità degli arbitri e nemmeno il nostro CT, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, stigmatizza il comportamento dei suoi allievi, che invece sarebbero, dopotutto, giovani da educare. Calciatori, oltretutto, che non giocano esattamente nella squadretta del Borgorosso Football Club. Quasi tutta gente di serie superiore, professionisti in odore di carriera e guadagni. Ancorché molti già orribilmente tatuati, come i loro colleghi adulti. Ma forse sarà proprio per questo. Il calcio da tanto non è più solo un gioco. Non lo scopriamo certo adesso. Però a me fa rabbia lo stesso.
Gli allenatori di calcio dovrebbero con umiltà direttamente proporzionale alla propria paga -e quindi molto alta- andare a consulto da un qualsiasi collega di basket. Io ho avuto i figli che praticavano questo sport, nonostante le mie palesi quanto inutili insistenze di indirizzarli verso il calcio. Nella pallacanestro, dove il contrasto è frequentissimo, stante il grande ritmo e il piccolo spazio di gioco, si insegna a difendere evitando di essere fallosi. Ogni contatto irregolare è un fallo e dopo cinque si va alle panche. «Scivola, non cercare la palla o le mani! Chiudigli l’accesso a canestro, senza fallo!» Ammonisce il coach. E gli danno retta, se no c’è il richiamo della panchina. Similmente nel calcio un avversario lo dovresti solo controllare, specie quando non rappresenta un pericolo. Inutile e sbagliato cercare il pallone o, peggio, il piede: ti becchi il fallo e, nei casi peggiori, l’ammonizione e l’espulsione. E la relativa punizione, che quella sì, può divenire pericolosa. Questo non vale solo per gli azzurrini, ma anche per la prima squadra e per la maggior parte dei giocatori di calcio. Che invece sono bravissimi a commettere falli gratuiti, salvo poi dichiararsi più innocenti di Santa Maria Goretti e invece, se capita a loro, fare teatro, fingere, cadere, rotolare, mettersi le mani al volto, anche solo in caso di lieve contatto, invocando, di fronte alla corte suprema e alle divinità del calcio, l’inviolabile sacralità della persona umana. Un po’ più di onesta e sportiva sobrietà, suffragata da un livello almeno accettabile di intelligenza, diciamo che non guasterebbe.
Ai miei tempi, nel secolo scorso, si giocava a uomo. Il difensore ti francobollava ovunque tu fossi, ti seguiva fin nello spogliatoio, fosse stato per lui. In seguito vennero i professori della zona. E quindi i maestri del procurato fuorigioco. I difensori stavano in linea, poi ad un cenno d’intesa, in genere del libero ben istruito dall’allenatore, salivano. Che non era quella cosa dal sud al nord. No, semplicemente si muovevano insieme in avanti e ti lasciavano in fuori gioco, rendendo vani i rilanci in attacco della tua squadra. Naturalmente alle prime non te ne accorgevi, dopo ci stavi attento e rientravi rapidamente anche te per non farti fregare ed essere di nuovo pronto a colpire eludendo la difesa: oltre al citato libero, lo stopper e i terzini. Oggi questi ruoli, il calcio, ogni cosa è diversa, anche se non illuminata. Soprattutto con le nuove tecnologie, cervello e velocità vanno usati al massimo livello. Invece vedi questi attaccanti che si fanno sorprendere e finiscono o partono in fuori gioco, vanificando ottimi gol.
Ma quelli che mi fanno così incazzare che nella televisione ci infilerei un piede, sono i giocatori che dopo un’azione in attacco rientrano ad uno all’ora, recuperando lentamente la posizione corretta e magari ad un rapido capovolgimento di fronte si fanno trovare in off-side, compromettendo il contropiede dei compagni e mortificando la nostra sete inappagata di gol. È stanchezza? Chi lavora tutto il giorno e magari per un magro salario è stanco! Non dei calciatori sbruffoncelli, non posso dire da quattro soldi, ma dei miei...stivali sì. E stavo per dire dei miei... Insomma, avete capito. Bisogna che i preparatori atletici “preparino” al sacrificio, al fiato, alla velocità, alla resistenza che va sempre bene. E infine, volendo essere ancora più esigenti, se qualche allenatore insegnasse che, quando capita, bisogna tirare, colpire bene la palla, dandole giusta forza e adeguata traiettoria, così da centrare la porta e non il portiere, insomma metterla dentro e GOL!!!! Sarebbe il massimo. Ma non si può pretendere tanto. Forza comunque azzurri ed azzurre. Forza a tutti noi e speriamo di risorgere, almeno per Pasqua. Buona domenica e buona fortuna.
Libero Venturi
Pontedera, 4 aprile 2021
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“Aqui descansa em paz aquele que foi a alegria do povo”. Qui riposa in pace colui che era la gioia del popolo. Epitaffio sulla tomba di Mané Garrincha,1933-1983. Il Chaplin del calcio, l’angelo dalle gambe storte, due volte campione del mondo con la nazionale brasiliana, morì in povertà, solo, abbandonato e distrutto dall’alcol. Dice che ancora oggi, se chiedi a un vecchio brasiliano chi è Pelé, il vecchio si toglie il cappello, in segno di ammirazione e di gratitudine. Ma se gli parli di Garrincha, il vecchio chiede scusa, abbassa gli occhi e piange.
Libero Venturi