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PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

DIZIONARIO MINIMO: Il populismo

di Libero Venturi - domenica 11 marzo 2018 ore 07:00

Il populismo è un' onda lunga che ha bagnato mezzo mondo. America ed Europa. Ora è arrivata anche in Italia con il successo elettorale dei 5 Stelle a cui, guarda caso, fa da sponda non la sinistra, sconfitta, ma la destra, vittoriosa, come coalizione unita o più o meno tale. In Italia quest’onda lunga è arrivata in ritardo. Era partita da tempo e si ha la sensazione che se non avesse avuto quali rappresentanti un comico televisivo come Beppe Grillo e un informatico catastrofista come Gianroberto Casaleggio, ma politici più seri o abili come in Grecia, Spagna e Francia, e se Renzi non ne avesse momentaneamente intercettato e parzialmente dirottato la spinta, da noi sarebbe arrivata anche prima. Forse, come sostiene Luigi Di Maio, il leader dei 5 Stelle, è finita anche la seconda Repubblica ed è cominciata la terza. Ricapitoliamo allora, non per la storia, ma per la cronaca. La prima Repubblica, dopo la liberazione dal fascismo e la Costituzione, con i primi governi “organici” di centro-sinistra con il trattino, dal 1946 fino al 1994: 48 anni. La seconda dal 1994, anno del successo di Berlusconi, populista antesignano, sdoganatore degli eredi del fascismo, con il primo governo “organico” di centro destra, ma anche con i primi governi di centrosinistra senza il trattino, Ulivo, Prodi, fino al 2018: 24 anni. La terza, con il successo del M5S e della destra e l’avvento del populismo, da oggi in poi: durerà 12 anni? L’onda populista può esaurirsi o travolgere anche gli spericolati surfisti che tentano di cavalcarla e i tempi delle Repubbliche si dimezzano, perché si va più veloci. Dove non si sa. O a sperdersi oppure nel futuro e speriamo non tutte e due le cose insieme. Speriamo piuttosto di ritrovarsi, nel futuro.

Cos’è il populismo? Di preciso non lo so. Mi pare venga da lontano. In Italia il movimento fascista, intriso di nazionalismo, corporativismo e sindacalismo rivoluzionario, fu populista prima di diventare partito unico, con le sue camicie nere. Per non parlare di quelle brune in Germania. Senza camicia furono invece i sostenitori di Perón ed Evita, descamisados a causa del gran caldo, accampati davanti al palazzo presidenziale in Argentina. Il peronismo fu un movimento politico di massa variamente interpretato. Perón, in una dichiarazione ad un giornale inglese affermò: "Gli argentini sono al 30 per cento socialisti, al 20 per cento conservatori, un altro 30 per cento radicali"e al giornalista che lo interruppe domandandogli: "E i peronisti?"il Presidente argentino rispose: "No, no, peronisti sono tutti quanti". In Italia, dopo il fascismo, nel dopoguerra, il primo populista nazionale certificato fu Guglielmo Giannini, il segretario del Fronte dell’Uomo Qualunque, un movimento e poi un partito populista di destra che aggiunse il “qualunquismo” agli ingredienti tipici del populismo. Fu sconfitto dai partiti popolari di centro e di sinistra e dalla destra erede del fascismo. Ai giorni nostri Berlusconi è stato populista, raccogliendo il sentire della signora Maria che cucina con la televisione sintonizzata sulle reti Mediaset, esenti da canone, e amplificando lo scontento del piccolo imprenditore, del ceto medio, alle prese con le tasse da pagare allo Stato che gli fruga nelle tasche. La sinistra dopo Mani Pulite è stata giustizialista, il giustizialismo è un altro ingrediente storico del populismo, dai tempi della gogna, della berlina e della ghigliottina. Un populista oggi è Trump che, tra le altre bravate, impone dazi protezionistici, dichiarando a mezzo mondo una guerra commerciale in nome degli Stati Uniti d’America. Tempi duri per le esportazioni del Made in Italy! Perché il populismo contempla, in genere, anche il nazionalismo e conflitti derivati. Oggi si dice “sovranismo” con il tentativo o il rischio di far coincidere sovranismo nazionale e sovranismo popolare. E l’Europa? Syriza di Alexīs Tsipras in Grecia e Podemos di Pablo Iglesias in Spagna possono considerarsi populismi di sinistra. En Marche del Presidente francese Emmanuel Macron, può dirsi progressista di centro. Nei paesi ex socialisti dell’Europa orientale soffia un vento populista di destra, venato di xenofobia. Perfino Matteo Renzi raccolse in parte lo scontento e le aspettative populiste, aggiungendovi un altro utile componente, il giovanilismo per di più rottamante. Lo raccolse e lo incanalò nel Partito Democratico che trionfò con il 40,81% alle Europee del 2014.

Ma i “5 Stelle” sono un movimento non un partito, tengono a precisare. La stessa cosa che diceva Berlusconi alla nascita di Forza Italia. 5 Stelle, che buffo nome! Perché solo cinque? Dice che sia riferito alle cinque tematiche fondamentali del movimento fondato, nell’ottobre del 2009, da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio e, alla sua morte, ereditato dal figlio Davide: acqua pubblica, mobilità sostenibile, connettività, ambiente e sviluppo. Che, a parte libertà, uguaglianza e solidarietà, è come dire quasi tutto. Ma forse è più un riferimento alberghiero. Grillo infatti nei comizi sosteneva che se non esistessero i partiti e i politici “ladri e corrotti”, sostenuti da un’informazione asservita al potere, “potremmo tutti condurre una vita a cinque stelle”, come se fossimo ospiti in un resort. Quindi, politici e partiti, tutti a casa! Sbarazziamocene. Oggi i rapporti con la stampa sono migliorati e i media non disdegnano. E non solo loro. In fondo i partiti e la politica, pur direttamente connessi alla democrazia, sono un potere scomodo per gli altri poteri, specie non elettivi. E spesso il potere dei media mal sopporta il potere della politica, ne blandisce i vincenti e ne irride i perdenti. Comunque sempre meglio che farsi chiamare grillini. Grillo, come comico, a me non solo non faceva ridere, ma mi faceva venire il nervoso. In compenso come politico mi fa ridere, ma continua a farmi venire il nervoso. Però questo è un limite mio. Addirittura anche il saggio “Grillo Parlante” di Pinocchio mi è sempre stato sui coglioni. Pure questo un limite personale, oltretutto foriero di disgrazie.

Il Movimento 5S sbandiera: non siamo né di destra, né di sinistra, siamo oltre. Ma siamo sia di destra che di sinistra e un po’ democristiani, dice oggi Grillo, ci adattiamo. Siamo un’idea, una piazza, siamo cittadini punto e basta. Il populismo in sostanza è il ricorso al popolo che rifiuta ideologie precostituite e sopratutto deleghe. Ora, siccome a me pare che in un paese complesso e moderno non possa che esistere la democrazia di delega, ne diffido. La democrazia diretta forse va bene solo per le assemblee di condominio che, chiunque ne abbia pratica sa come vanno a finire e poi, oltre un certo numero di condomini, anche lì occorre un amministratore. Del resto per candidarsi fra i 5S bisogna mandare un curriculum che non tutti sanno compilare, bisogna avere un computer e una mail che non tutti hanno perché esiste il “digital divide” e poi non si capisce chi seleziona chi. Anzi, si intuisce: la Casaleggio e Associati che non mi pare scelta tramite concorso pubblico, né eletta dalla base. Qualche affinità con Forza Italia, di proprietà di Berlusconi, sembra di intravederla. Francamente, pur con i loro difetti, sono preferibili i partiti. Almeno con loro si eleggono dirigenti e candidati, salvo poi criticarli, ma anche questo, nei limiti, è il suo bello. Si vota la piattaforma politica, si risponde ad ideali che hanno una storia leggermente antecedente all’ottobre del 2009 e non è detto che non possa avere un futuro. Basterebbe rifarsi all’aforisma di Mahler: “La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”. Dove custodire il fuoco è tenerlo vivo e consegnarlo al futuro. “Se il fuoco oltre la fiamma dura ancora”, potremmo aggiungere con Luzi. Ma per i pentastellati i partiti e in particolare quelli di sinistra sono dissoluti e causa della dissoluzione del Paese, sono cenere e i loro esponenti “zombi”, morti che camminano. Così dissero con sprezzo al povero Bersani che, all’indomani delle politiche del 2013 vinte per un soffio, propose loro di collaborare per un governo di riforme.

Oggi Di Maio propone la stessa cosa al PD, sconfitto alle elezioni. “L’indicibile dei vinti, il dubbio dei vincitori”, era una bella poesia di Pietro Ingrao. Difficile che il leader dei 5S trovi risposta positiva. C’è un senso di responsabilità nel governo, ma anche nell’opposizione. La destra, come coalizione, in particolare la Lega, e il Movimento Cinque Stelle, come forza politica, hanno ricevuto più voti dai cittadini, agitando paure e distribuendo promesse a nord e a sud, a destra e a manca, la demagogia essendo una deriva essenziale del populismo. E ora starebbe a loro provare a dare un governo all’Italia. Risolvere quelle paure, mantenere quelle promesse, far quadrare i conti, cavarsela con l’Europa ed il mondo. Proprio perché il voto degli elettori va rispettato. Dopo le consultazioni il Presidente Mattarella deciderà. Non vorremmo essere nei suoi panni, ma tutti ci affidiamo a lui che è una degna persona. E non vorrei essere irriverente, ma bello sarebbe che convocasse al Colle sia Di Maio che Salvini e dicesse loro: “Ragazzi, gli elettori si sono espressi, coraggio, ora tocca a voi”. E desse loro un mandato esplorativo per vedere quanti “numeri” hanno, se hanno davvero voglia o fanno finta e aspettano che altri, per quanto riguarda il Paese, continuino a levare per loro le castagne dal fuoco.

Il PD è bene che stia all’opposizione con i propri ideali e progetti e dia da lì il proprio contributo responsabile. Continuo a pensare che sia possibile tramandare il fuoco. E che ciò si possa fare andando avanti, anche oltre il “compromesso storico” di Berlinguer e di Moro, senza necessariamente tornare indietro a due forze di centro e di sinistra divise e alleate, come “convergenze parallele”. Penso invece che un’unica forza di centrosinistra, come fu pensata e attuata da Prodi e Veltroni, semplifichi il quadro e ravvivi il fuoco, unendo più fuochisti. Lì mi rifarei. A quello spessore. Non c’è bisogno di tecnici, di manager o delfini reggenti. Un partito non è un’impresa familiare, nemmeno una ditta, sia pur cooperativa. Se invece si trattasse di un governo di scopo, del Presidente, con una personalità “terza” e il consenso di tutti, nessuno escluso, per stabilizzare il Paese in ordinaria amministrazione e per varare una nuova, ma finalmente valida, legge elettorale, il discorso sarebbe diverso. L’unica però sarebbe una legge simile a quella per l’elezione dei Sindaci, a doppio turno, e qualcuno risulta vincitore, chiunque sia. Ha garantito ai Comuni governabilità e stabilità .

Di Maio, nella lettera a Repubblica, propone di voltare pagina e cambiare l’Italia tutti insieme. Dice, abbiamo raccolto lo scontento e i problemi della gente contro la narrazione del “va tutto bene”. E questo è anche vero. Per la Terza Repubblica, quella dei cittadini, il nostro programma fondamentale, dettato dall’esperienza, è “1) partecipazione, 2) ascolto, 3) trasparenza”. Al centro i cittadini. In effetti, ora che ci penso, gli altri al centro mettevano partiti e gatti, per non parlare di cani e porci. Ma non divaghiamo. La politica finora è stata tutto uno schifo, dice ancora, e segue elenco di nefandezze assortite. Ma “politica vuol dire realizzare”, citazione di De Gasperi, scomodato ad arte. Poi richiama gli intrighi di House of Cardsche mi pare un’altra cosa, però bella serie, se ne resta intrigati. Poi si rifà a Kant senza rammentarlo o forse inconsapevolmente cita pure Occhetto e la “rivoluzione copernicana” applicata alla politica. A volergliene, se non ricorda come andò a finire nel '94, potremmo anche suggerirgli “la gioiosa macchina da guerra”. Infine, rivolto a chi non ci sta o si oppone, Di Maio conclude in bellezza con Seneca: “non si può fermare il vento con le mani”. Che è una frase che riassume piuttosto lo stoicismo e il fatalismo del filosofo: “ducunt volentem fata, nolentem trahunt", il destino trasporta chi lo asseconda, trascina via chi gli si oppone. Per questo il vento non si ferma, tantomeno con le mani. E allora, a proposito e nel mio piccolo, in direzione ostinata e contraria, nonché controvento, finisco anch’io richiamando Lucio Anneo Seneca. Purtroppo “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

Pontedera, 11 Marzo 2018

Libero Venturi

Articoli dal Blog “Pensieri della domenica” di Libero Venturi