Techetechetè
di Libero Venturi - domenica 20 agosto 2017 ore 08:00
Vigliacchi, traditori, non si fa così! "Techetechetè", il programma di videoframmenti televisivi che va in onda all’ora di cena, dopo il Tiggì, sul primo canale, ci prende per la memoria e per il cuore. E, necessariamente pur se involontariamente, anche per il culo. Fa leva infatti su ricordi e relativi sentimenti che credevamo smarriti o, quantomeno, sopiti e così scatta dal passato e dall'inconscio una proiezione di noi che innesca l’inesorabile "come eravamo".
Infatti, mentre quei videoframmenti vanno in onda, sulla parte bassa del teleschermo appare una didascalia con scritto il nome della trasmissione e del protagonista. Ma non è questo il problema, in fondo chissenefrega. La cosa tanto grave quanto inevitabile è che, accanto a Canzonissima, il Cantagiro, la Carrà, i Pooh, eccetera, vengono purtroppo scritti gli anni: 1959, 1968, 1970, a precedere o seguire. Perché non è tanto problematico che ti ricordi Gianni Morandi, Pippo Baudo, Patty Pravo o altri immortali highlanders televisivi, alcuni dei quali oltretutto, attraversato il secolo, ancora in auge nel nostro presente storico. Questo, alla fine, non ti fa né caldo né freddo, ti lascia, tutto sommato, abbastanza indifferente. No, il fatto drammatico è che ti viene a mente quando avevi 9, 18, 20 anni, a precedere o seguire e ti trovi preso in una sorta di zapping esistenziale che fa scattare lì per lì la lode rievocativa e, subito dopo, il rimpianto, la nostalgia, perfino il rimorso del tempo passato.
E questo balletto del tempo ti coinvolge nella sua trascinante e tracimante coreografia, ma non scatta nessun applauso dalle platee della memoria, semmai ti prende un sentimento alternato di rabbia e tenerezza. Ma il meccanismo di immedesimazione è perverso e ben studiato, azzeccato, direi. Insomma funziona e così non spengi, anzi usi il telecomando per migliorare la sintonia, alzare il volume: vuoi vedere bene, non ti vuoi perdere nemmeno una battuta. Litighi perfino se la signora, più insensibile alle lusinghe degli anni, cambia canale e pretendi il ripristino immediato del memorabile programma. Se ovviamente ci riesci, con la residua autorità o prepotenza che ti vengono concesse tra le mura domestiche. E quando sei da solo ti sintonizzi e non vorresti mai uscire da quel pozzo di ricordi, ti ci immergi fin quasi ad annegarvi. E ti dispiace quando il programma finisce. Aspetti perfino la richiesta dei telespettatori alla fine della trasmissione. Vorrei rivedere i Dik Dik che cantano "Il primo giorno di primavera". Oppure l'orchestra del fresco ottantenne Raul Casadei che esegue "Ciao mare". E pensare che non hai mai ballato una volta il liscio in vita tua! Non ci sei proprio andato a ballare. Se il sabato sera ti è venuta la febbre, sarà stata influenza. E anche della musica in fondo non ti importava poi granché. Non ti ricordi bene nemmeno il ritmo e le parole delle canzoni, solo qualcuna delle più orecchiabili. O insomma, come diceva Bennato, non metteteci alle strette, sono solo canzonette! E allora perché dovevamo dargli tanta importanza?
Oltretutto si rivedono alla tivvù i primi rudimentali videoclip musicali degli anni 60. I Casadei che, come richiesto, cantano "Ciao mare" e davanti alla riviera romagnola fanno ciao tutti insieme con la mano. E i Dik Dik che, mentre intonano "salgo sopra un autobus", prendono davvero il pullman -lodevole uso del mezzo pubblico sia pure a sbafo- e poi, quando la canzone fa "qui in mezzo al traffico c'è un pezzetto di verde e mi chiedo perché mentre nasce una primula sto morendo per te" nel filmato sbucano, ad uno ad uno, dietro i fiori. Che poi che attinenza c'è? Non è che quando nasce una primula, ovvero il primo giorno di primavera, siamo esentati da qualcosa. Né, tanto più, liberati dalla morte. Magari! In mezzo al traffico poi, oggi più facile il contrario. Forse a quei tempi. Figli dei fiori all’italiana, hippies de noantri, in giacca, camicia e pantaloni scampanati, capelloni cotonati e già un po' stempiati, più anacronistici che anticipatori rispetto ai tempi. Molto di questo, naturalmente, in bianco e nero. Banale e patetico, senza gli effetti e gli artifici speciali a cui, ormai, siamo avvezzi. L'immaginario allora era semplice e ruspante, scontato e realista. Tuttavia tutto, come si dice oggi, splendidamente e perdutamente vintage!
E così rimani lì, davanti alla tivvù, come un ebete, combattuto tra senso di partecipazione e di estraniamento mediatico, di rivendicazione e di rifiuto del passato, di malinconia per ciò che è stato e di colpa per quello che hai perso o lasciato per strada. Ti viene a mente la volta di quel bacio, una giornata al mare, quella brutta figura e quel goal che facesti da cineteca del calcio, nella moviola immaginaria dei tuoi ricordi privati. Tutte cose leggere, sciocchezze che avevi scordato o tralasciato, preso com’eri e trascinato dalla grave, incalzante importanza della vita.
Non è né prudente, né lecito fare così, datemi retta! Non è giusto. Non tentate oltre, per favore, le nostre provate ricordanze e lasciateci, per pietà, alle rassegnate smemoratezze che fin qui ci hanno, se non assolto, quantomeno salvato. Almeno mettete un bollino rosso, scrivete programma sconsigliato, vietato anzi, ai maggiori di 60 anni, anche se accompagnati da figli trentenni.
Invece ci riascoltiamo "Io che amo solo te", "Senza fine", "Il cielo in una stanza", "Sapore di sale", le canzoni di Endrigo, di Gino Paoli, della Vanoni che piacevano tanto ai nostri genitori e che hanno fatto in tempo a piacere anche a noi. E la voce potente e bellissima di Mina, antipatica, troppo avanti per quegli anni. E l’Equipe 84 e i Nomadi. La memoria si dilata e riaffiorano tante cose, troppe: i ricordi diventano incontenibili, insostenibili. Finché non risentiamo la voce britannica di Shel Shapiro, il lungherone dei Rokes e, come in un sortilegio, all’improvviso, la notte cade su di noi e pure la pioggia cade su di noi, la gente non sorride più, vediamo un mondo vecchio che ci sta crollando addosso, ormai e ci chiediamo ancora una volta: ma che colpa abbiamo noi? Allora ci viene un magone, ma un magone che, in pieno regresso giovanilistico e infantile, speriamo che torni pure Carosello, dopodiché i nostri genitori, redivivi anche loro per l'effetto magico di Techetechetè, ci manderanno subito a letto. Possibilmente con il bacio della buonanotte.
Pontedera, 20 Agosto 2017
Libero Venturi