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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Un tango e una storia

di Marco Celati - mercoledì 23 agosto 2017 ore 16:51

São Vicente, Mindelo, notte. In una balera della città vecchia ballano il tango. Un uomo, seduto ad un tavolo, osserva. Sul tavolo una bottiglia di rosso e un bicchiere. Si avvicina una donna. Chiede se può sedersi, si siede. Cortesemente rifiuta l'offerta del vino. I musicisti riprendono il tango, le coppie a ballare.

– A ciascuno il suo tango e la sua storia. Qual è la sua, commissario?

– Ela fala bem italiano! Non mi chiami commissario, per favore, non lo sono più, da tanto.

– Ma lo è stato, qui tutti lo sanno; lei, invece, non se la cava granché col portoghese.

– Vero. Che vuole che le dica? È una lunga e vecchia storia, che non vale più nemmeno la pena di essere raccontata. Era un altro secolo ed un altro mondo. Le dirò che non ho rimpianto per la vita pubblica che ho fatto, che l'abbia scelta o meno. Ma mi porto addosso un senso di nostalgia per quella privata. Per gli affetti che ho trascurato, per l'amore che ho sprecato. Ho preteso di capovolgere l'esistenza. Si può, si deve anzi, vivere da giovani, cogliere il giorno che viene. Non è lecito invece farlo da uomini. Anche se ti è mancata la gioventù per un motivo o un altro, che dipenda o meno da te. In questo senso confesso che sono una persona immatura a cui non sono passate le infatuazioni. Gli amori, colti in ritardo e subito sciupati. Di questo sì, porto la colpa. Questo è il mio affanno. Il resto è vita che precipita senza predisposizione, senza essere stata preparata.

– Già, lo dico anch'io. Ma si può rivivere, commissario? Lei è qui per questo? Per rifarsi una vita?

– Non credo, non lo so. Tutti vorremmo vivere due volte: una per sbagliare e l'altra per sbagliare ancora. Così finisce che non abbiamo vissuto nemmeno una volta. Non è l'errore che ci frega, ma è continuare a farlo. Ora penso che tutto sia ormai irrimediabile. E che si può chiudere con il passato, ma è il passato che non chiude con noi. Ho voluto bene, ma non so se ho amato. Né se sono stato amato. O forse sì che ho amato e lo sono stato, troppo, senza essermene reso conto. Oggi non ho più possibilità di una vita autonoma. Mi sembra di avere tutto in prestito, più o meno compassionevole, da altri. Anche la pensione, in fondo. Mi limito a scrivere. Scrivere è una patologia e un rimedio, magari fosse letteratura! E forse ciò che scrivo, bene o male, è davvero ciò che sono o avrei voluto essere. I miei scritti sono diventati i miei avvenimenti, il resto è solo l'aggravarsi di una malattia. Ma anche questa frase credo non sia nemmeno mia. Forse un altro compassionevole prestito. Anzi, una donazione a fondo perduto.

– Un quadro sconfortante, ma la capisco, commissario.

– A volte mi sento come un sopravvissuto: al tempo trascorso, agli affetti perduti, ai cari scomparsi. Ma, non si preoccupi, il mondo non precipiterà per questo. Qualcuno lo governerà, lo sciuperà o lo salverà, o forse lo lascerà com'è. Speriamo comunque che a farlo sia una politica, buona o migliore: non lo farà certo la gente da sola. Ci sarà un modo di coniugare l'io con il noi. Il fatto è che bisognerebbe vivere meglio che si può. Oltre i vivi e oltre i morti. Per noi, prima che sia tardi. La saggezza, è vero, non esiste, ma la morte e la vecchiezza esistono eccome, ha voglia di dire l'Achmatova! Magari non sono le rughe della vecchiaia che sciupano l'esistenza o la bellezza del volto. Quello che ci sciupa sono le ferite dell'anima che si aprono con lo scialo della vita.

– Chi è Achmatova?

– Era una poetessa russa che scriveva che ”la saggezza non esiste”, ma anche che ”non esiste vecchiezza e forse nemmeno la morte”.

– Com'è possibile?

– Ma è perché lei era brava a scrivere. Comunque parlo troppo di me, è una lagna, sarà questo vino che scioglie la lingua. E di sé, piuttosto, che mi dice? Vengo spesso a vedere le persone ballare, mi affascina il tango, anche se non ne sono capace. Qual è il suo tango e la sua storia?

– Il mio tango in realtà è una morna. Ne ho conosciuto la regina, Cesária Évora, era di São Vicente come me. La morna e il tango, hanno qualcosa in comune, sanno di nostalgia e di rimpianto. Sa che un italiano come lei, Vinicio Capossela, ne ha scritto e musicato una, molto bella? Si chiama proprio così, ”Morna”. Gliela canto, anche se un po' male: ”...tristezza che non viene da sola/ e non viene da ora/ ma si nutre e si copre dei giorni/ passati in malaora/ quando è sprecata la vita/ una volta/ è sprecata in ogni dove...”. Ma sono solo vento e parole d’altrove, ormai anche per me. Molto tempo è trascorso. La mia storia non esiste: sono sempre vissuta qui a Cabo Verde, in queste isole circondate dal mare. Gli Alisei hanno soffiato sulla vita, sugli affetti e gli amori che si porta il tempo, hanno fatto lacrimare gli occhi e asciugato lacrime. Ho notato che viene spesso qui e ci guarda ballare, se vuole le insegno, sono stata brava in gioventù, lo sono ancora, credo. Così almeno dicono.

– È molto bella e balla benissimo.

– Grazie, ho avuto una scuola di ballo, sa?

– Questo spiega molte cose. Perché ha cessato l'attività?

– Spiega poco invece, mi creda, altro tempo e altro mondo anche per me. A volte sento dentro una tristezza incontenibile, un vuoto assurdo, come il senso di una cosa inutile. Saranno queste isole, tutto questo mare e questa vita di niente. E allora solo un giro di ballo mi consola. Ma d'insegnare non mi andava più. L'ho fatto tutta la vita. Tutta la vita con la gente, questi anni li voglio per me. E poi tutto si fa per amore. È semplice, ma le cose semplici il tempo le divora. Non so perché le racconto queste cose. Lei nemmeno balla e si è fatto tardi, devo andare. Adeus commissario.

– Mi chiamo Nedo.

– Nedo? Che buffo nome!

– È toscano e sapesse il cognome... Favati!

– Sono Pilar, Pilar Dias, obrigada...

– Piacere mio, Pilar, arrivederci.

São Vicente, Mindelo. Una pensione davanti al porto. L’indomani mattina. Suonano alla porta. Un uomo in boxer, canottiera e ciabatte, trascinando i piedi, va ad aprire, domanda chi è. Sono io. Io chi, domanda di nuovo.

– Sono Pilar, commissario, apra! Per favore.

– Pilar, ci rivediamo! Come sapeva dove abito?

– Qui tutti lo sanno, mi fa entrare o restiamo qua sulla porta?

– Non sono vestito, non sapevo, mi scusi...

– Non sarà mica nudo e non mi formalizzo…

Entra. Un appartamento modesto, due stanze sufficientemente in ordine, abbastanza pulite, un po’ di polvere. Dalla cucina si vede un terrazzino che si affaccia sul mare, che poi sarebbe l’Oceano. Sul terrazzo ci sono un tavolino e due sedie. Sul tavolo una bottiglia di bianco freddo, un bicchiere e un tablet. Si siedono, cortesemente rifiuta l’offerta del vino. Dal tablet esce una musica: ”Rebetiko Gymnastas”, la canzone è ”Morna”.

–Ah, Capossela! Sente che malinconia! Cosa le dicevo?

– Sì, mi piace. Che succede, Pilar? A che devo il piacere?

– Commissario, sono stata derubata!

– Non sono commissario. Quando è stato?

– Ieri notte mentre ero a ballare o forse mentre stavo parlando con lei. Sono rientrata e l’appartamento era stato svaligiato. Le mie cose tutte all’aria, che pena la vita! Perché?

– Forse non c’è un perché per la pena e per la vita. Cosa le hanno rubato?

– Il cuore, i ricordi.

– Cioè?

– In realtà solo pochi soldi. Ma c’era nel cassetto, in camera, sotto la biancheria, una borsetta con un anello, una collana e gli orecchini. Tutto sparito. Erano un regalo di Bruno.

– Chi è Bruno?

– Era l’amore mio, un italiano, ballerino di tango, piovuto qui un secolo fa con uno di quei gemellaggi del Festival Sete Sois…per cui credo lavori anche lei. Avevamo aperto insieme la scuola di danza. Sa, l’illusione e il lusso della gioventù!

– Se n’è andato? Finito l’amore?

– É morto, commissario, per favore!

– Mi dispiace, scusi tanto. Cosa crede che possa fare per lei?

– È stato un poliziotto, magari bravo, può scoprire chi è stato? Restituirmi i ricordi, la prego!

– Pilar, non so se ero bravo, sono qui da un anno o poco più, presento, male, ai turisti il cinema italiano del dopoguerra per conto del Festival. Non conosco nessuno, si può dire…

– Conosco tutti io, commissario.

– Basta con questo commissario, se vuole mi chiami Nedo, o niente.

– Va bene, Nedo, va bene, purché mi aiuti.

– Mi occorre una lista di coloro che conosce più da vicino e di chi frequenta la sua casa.

– Addirittura? Gliela scrivo.

– Il mio collega, nonché ispettore Calogero, mi ha sempre detto ”t’arrruba cu ti sape”. È siciliano, vuol dire che ti ruba chi ti conosce.

– Lavorava con lei? Era suo amico?

– Sì, è in pensione anche lui, ora cura i suoi nipotini e la sua terra; grande Calò!

– Ecco la lista. Le occorre altro?

– No, per adesso. Non le prometto nulla. Semmai, mi farò vivo, io.

– Obrigada, Nedo.

– Arrivederci, Pilar.

Sao Vicente, il quartiere storico. Qualche giorno dopo. È sera, verso il tramonto. Un uomo bussa a una porta. Dall’interno una voce femminile chiede chi è. Sono io, l’uomo risponde. Io chi, chiede ancora la donna.

– Sono Nedo, mi apra Pilar.

– Commissario! Scusi, Nedo! Come sapeva dove abito, non me l’aveva chiesto, non gliel’avevo scritto…

– Qui tutti lo sanno…

– Sono in sottoveste, un momento!

– Non sarà mica nuda, nemmeno io mi formalizzo… Mi apre o continuiamo a parlare davanti all’uscio?

Entra. Un appartamento ordinato, lindo. Profuma di spezie e limone. Una cucina con le finestre aperte sui tetti della città vecchia. Da fuori arriva una canzone, sembra «Sodade». Ci sono un tavolo e due sedie. Si siede, cortesemente accetta l’offerta di un brandy. Ha una busta, tira fuori una borsetta, la apre, ci sono anello, collana e orecchini.

– Nedo! Ha ritrovato tutto! Grazie. Il mio cuore…

– Sono gioielli.

– Sono i miei ricordi, ciò che resta del tempo… Il mio tango, la mia storia.

– Capisco.

– Come ha fatto? Chi è stato?

– Quella ragazza che ha preso per darle una mano in casa, era nella lista…

– Rosario, non ci credo!

– Lei non ha colpa, è l’amore il colpevole, come sempre… Rosario Gomes ha un amico con cui esce, che la porta a ballare. Me l’ha detto, si chiama Luis, Luis Rocas, un poco di buono, da quanto ho saputo in giro. L’ha fatta parlare della casa e di quando lei, Pilar, esce per il tango. E poi ha fatto il resto. Semplice. E le cose semplici e care non le porta via solo il tempo. Anche i ladri non scherzano…

– Come ha recuperato le mie cose?

– Sono andato con Rosario da Luis e gli ho fatto un discorsetto. Se restituiva tutto non l’avrei denunciato. Con la ragazza faccia come meglio crede. A me pare a posto, a parte il cuore ballerino… Ognuno balla la sua vita, il suo tango e la sua storia. Come dice lei, Pilar.

– Nedo, non so come ringraziarla.

– Dovere e piacere.

– Non sono la stessa cosa, non crede?

– A volte sì, Pilar. Perché non ci diamo del tu?

– Volentieri, Nedo, il tu va molto meglio anche per me. Fatti vivo, se ti va.

Lei si alza, lo bacia. Lui ricambia. È un bacio di saluto, niente di più. Solo per accompagnare il tu. Si tengono un po’ la mano. Ciao, Pilar. Ciao Nedo. Ci si vede. Il sole sta tramontando, arrossa il cielo e il mare, che poi sarebbe l’Oceano, in mezzo a cui sta l’isola di São Vicente e questa piccola storia che attendeva forse un finale migliore. Ma questo è, questo offre la casa.

Marco Celati

Pontedera, 10 Agosto 2017

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Riappare l’ormai molto ex commissario Favati, in pensione nell’isola di São Vicente, a Cabo Verde. Questa storia trae il suo incipit dalle Parole Milonguere finali de ”La location nel tango argentino” di Maria Caruso: ”A ciascuno il suo tango e la sua storia”. Ringrazio e mi scuso con l’autrice per l’evocativo prestito. Il racconto deve inoltre molto alle suggestioni e al testo delle canzoni dell’album citato, ”Rebetiko Gymnastas” di Vinicio Capossela. Quanto alla frase ”i miei scritti sono diventati i miei avvenimenti, il resto è solo l’aggravarsi di una malattia” è una citazione a memoria, credo, di Nietzsche. O forse un ricordo travisato, onestamente non ho trovato il testo da cui è tratta e la sua attribuzione non è dunque certa. L’unica cosa certa è che non è mia, non saprei dire se purtroppo o per fortuna.

Marco Celati

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